Racconti del mondo di Andor

Racconto Ambientativo sul Popolo Aurian

Rawu. Ruwaye.

Così sia.

Oceano attraversa le porte di Corno nei sogni, inviandoli nella Città Splendente. Prima della costruzione delle Taga, prima che Haska Kawa risplendesse, Taku il Cantore cavalcava con le balene.

Le balene erano giunte a Mutuwa, la distesa delle ossa dei loro simili, erano arrivate per morire. Una forza oscura le aveva spente e le stava consumando dall’interno, ed esse, spaesate, agonizzavano nell’acqua, si spingevano sempre più vicino alla superficie. Alcune erano già andate ad arenarsi sulla sabbia, lasciandosi andare alla corrente. Le compagne ancora vive intonavano un canto di morte, e di dolore.

Mi avete chiamato e ora sono qui, con voi, esseri di Oceano.

Taku il Cantore giunse a Mutuwa, e gli esseri si riunirono intorno a lui, e iniziarono a raccontare. Era l’inizio della danza di distruzione di Ruwaye? Sarebbe arrivato, scuotendo tutto il suolo e ponendo fine a ogni cosa? Qualcosa le aveva colpite, molto lontano dalla Barriera. Con il branco avevano trovato un luogo di dolore, in cui i pesci e le altre creature le avevano attaccate. Una fossa molto profonda, in cui ogni cosa era marcia, piena di dolore, perché nell’acqua c’era qualcosa di strano. Ed esse erano state attaccate dai pesci, e si erano riempite di quell’acqua impura, che sporcava la loro pelle e avvelenava il loro interno.

Canto con voi, e Oceano continua a sognare.

Il cuore di Taku cominciò a battere con Oceano, cominciò a vibrare con gli esseri che lo circondavano. Egli percepì tutto il loro dolore, e la paura. Sanguinò con le loro ferite, partecipò ai loro lamenti. E infine appoggiò il volto e le mani sulla pelle di uno degli esseri. Riuscì ad issarsi sul dorso dell’animale, e rimase in ascolto del cuore di Oceano. Taku sentì la morte vicina, come era vicina la distruzione di ogni cosa. Si unì al canto delle balene, e cominciò a sognare un nuovo inizio. Il dorso dell’animale si mosse e la balena cominciò a risalire lentamente verso la superficie, fino ad emergere con vigore. Un fiotto d’acqua possente liberò l’animale, e Taku per la prima volta respirò l’aria fuori dall’acqua. Una luce accecante dominava una distesa azzurra.

Nel sogno, Oceano mi chiama.

L’animale si immerse di nuovo, e poi tornò ad espellere l’acqua del luogo di distruzione. Tutti i suoi simili cominciarono a fare lo stesso. Taku si immerse con la creatura. Ora insieme percepivano di nuovo la vita scorrere in loro.

Il branco era pronto a ripartire. Si immersero un’ultima volta. Taku non volle lasciare l’essere che aveva salvato, si immersero insieme e abbandonarono Mutuwa. Erano giunte per morire e avevano trovato nuova vita. Attraversarono di nuovo tutta la Barriera, fino ad immergersi nuovamente nella Culla di Oceano.

Arriverà il tempo della Distruzione. Allora danzeremo con Oceano, assistendo al suo risveglio.

Rawu. Ruwaye.

Così sia.  

Dal racconto di Alexander Key, Aconian in fuga da ASA, la Cittadella

L’ennesimo scossone manda fitte di dolore lungo la schiena. Non ne posso più di questo maledetto viaggio, giorni e giorni seduti ad annoiarci, il morale molto basso, e pochissime pause per rilassarci un minimo.
Fuori dal finestrino il nulla: vedo solo alberi ed erba, colorati da questa strana luce che ormai ci accompagna da giorni, da quando il sole è scomparso e la nebbia si è alzata.
Dal punto di vista botanico sarebbe sicuramente interessante fermarsi ad osservare le piante da vicino, ma le fermate non sono possibile se non strettamente necessarie.
Il dottor Kurosawa ci aspetta, dovremmo essere quasi arrivati; mi auguro sia vero, voglio scendere e sgranchire finalmente le gambe.

Sono giorni che viaggiamo, non sono mai stato tanto lontano da casa, e temo che non la rivedrò per molto, molto tempo.
Lehmann sembrava così ottimista… si, il Commander stava rastrellando i marchiati, ma io sarei stato al sicuro, il vecchio Physic ne era convinto: i nostri studi sull’energia solare erano (sono) fondamentali, non mi avrebbero arrestato così facilmente.
Inoltre mancava poco al mio ingresso nel PMC, il coronamento di una vita di studio e attività accademica. No, non mi avrebbero toccato.
Ci sono sempre sempre delle eccezioni, mi ripeteva il mio mentore.. ecco, non sempre purtroppo.
Per fortuna non sono riusciti a prendermi, o avrei fatto la fine (quale fine poi?) degli altri.

Fuggito in piena notte, come un ladro, preceduto da quello stesso dottor Lehmann, mio mentore e amico, che mi aveva prima rassicurato e che poi era venuto a bussare alla mia porta alle due del mattino. A breve sarebbero venuti a prendere anche me. Ricordo ancora l’incredulità mentre lo scienziato mi spiegava rapidamente la situazione, l’espressione preoccupata, tesa, sul viso anziano: dovevo lasciare la cittadella, il dottor Kurosawa era stato avvertito e un mezzo avrebbe portato me ed altri Aconian in salvo.
Pochi minuti per fare la valigia, buttare dentro qualche vestito, qualche appunto, qualche libro, e poi l’uscita dalla mia dome, e la rapida camminata lungo le ampie, ben illuminate vie di Alturbia; con fatica evitavamo le pattuglie di Centurion, persone con cui tante volte mi ero fermato a parlare tranquillamente, e che ora erano diventati nemici mortali, da difensori dei cittadini a spietati cacciatori di marchiati.
E poi via, prima verso la caotica Suburbia e le sue dome ammassate, e le sue vie tortuose male illuminate, e per questo più facili da sfruttare per nascondersi, e infine la discesa per Suburra, il quartiere più oscuro (e dicono malfamato) della cittadella.
E da Suburra, ancora più in basso, lungo corridoi bui, apparentemente abbandonati, rischiarati solo dalla torcia elettrica usata dal dottor Lehmann; un labirinto antico di grandi tubature arrugginite e pareti di cemento, fino ad arrivare ad una piccola porta sorvegliata da due uomini armati, e oltre una piccola rimessa che ospitava il mezzo su cui ora viaggio. Ricordo gli altri Aconian , miei nuovi compagni di viaggio, salire sul mezzo, l’espressione triste di chi sa di lasciare la propria cosa forse per sempre; ed il pilota, la pistola in pugno, ansioso di partire.
Ricordo chiaramente come la tensione fosse quasi palpabile nella piccola rimessa.

E quando tutto sembrava andare per il verso giusto, ormai pronti alla partenza, ricordo erano iniziate le urla, seguite dagli spari provenienti dal corridoio: ricordo distintamente il dottor Lehmann stringermi la mano: “Addio amico mio”, le sue uniche parole prima di spingermi dentro e voltarsi verso i basher che ormai stavano entrando nella rimessa.. poi il portellone si era chiuso ed il mezzo era partito accelerando violentemente, portandoci via, mentre i colpi delle armi da fuoco rimbalzavano sulla carrozzeria.
Sospiro mentre ripenso a questi fatti, a come la mia vita è cambiata a causa di questo maledetto “marchio”.
Spero almeno che il mio vecchio amico stia bene: non penso gli faranno del male, vista la sua posizione e la sua importanza, ma non ne sono più così sicuro.

Un altro scossone scuote il mezzo, che infine pare fermarsi.

Qualche minuto di silenzio mentre io ed i compagni di viaggio ci guardiamo, la tensione che cresce nel piccolo vano.
Alcuni sono armati e si preparano, lo sguardo risoluto di chi è pronto ad affrontare una battaglia.
Io non ho armi, non mi sono mai servite durante la mia vita di studioso.
Il portellone si apre: vedo il pilota, sorride stanco mentre ci fa segno di scendere.
Fuori dal mezzo l’aria è fresca e inizio a guardarmi attorno… Vedo molti perìferi, di vari popoli, in quello che sembra un accampamento.
Membri di popoli diversi uniti da questo strano marchio.
Ci osservano, chi con curiosità, chi con sospetto, chi con malcelato fastidio.

Estranei li chiamano.. ci chiamano, perché anche io ora, a quanto pare, ne faccio parte.

Guardo per un attimo verso l’alto, anche se l’onnipresente nebbia non aiuta: il sole ancora non si vede, un altro fenomeno assurdo, incredibile, per il quale non riesco a trovare una spiegazione scientifica sensata, per ora almeno.
Mentre anche i miei compagni di viaggio scendono, le armi cautamente tenute a portata, sento una voce familiare chiamarmi e voltandomi vedo il Regens: sembra più vecchio di come lo ricordavo, più provato, ma è lui.
Mi concedo un sorriso mentre gli vado incontro.
Vedo anche la sua assistente, Akira: lei è rimasta identica a come la ricordavo invece, ma non me ne stupisco.
I due sono sempre stati inseparabili, e anche in questa situazione così particolare e’ rasserenante vederli assieme.
Ho così tante domande da fare ad entrambi.
Stringo la mano del Regens e salgo sul suo carro seguito da Akira, mentre un po di cauto ottimismo inizia a tornare in me.
Chiuso il portellone, iniziamo finalmente a parlare.”

DISCLAIMER: i racconti dei personaggi rappresentano la propria idea, la propria opinione, le proprie esperienze. Non rappresentano le idee “canon” dell’ambientazione ufficiale.

Inizio del secondo mese, ciclo 1347. In un momento di riposo nel cerchio dei carri, nella notte profonda che precede appena il tempo di coricarsi

 Laìni era accovacciata accanto al fuoco principale dell’accampamento, insieme a buona parte dei membri della Carovana – salvo coloro che erano stati lasciati di guardia all’esterno, a ridosso del cerchio dei carri, o che avevano acceso alcuni fuochi secondari per cucinare più comodamente. Era un momento quasi…tranquillo, rispetto a molti altri vissuti nel corso di quel bizzarro viaggio, eppure la giovane Solitor aveva un’aria vagamente nervosa. 

Ad un tratto, chiude delicatamente il suo fido quaderno e si alza in piedi, tenendolo in una mano come se ne traesse conforto. Si posiziona su un piccolo rialzo del terreno, sfruttandolo per sopperire alla sua scarsa statura, e fa un cenno del capo a uno dei Solitor delle retrovie, comodamente stravaccato accanto al falò, che a quel gesto estrae una sorta di piccolo flauto e inizia a suonare dolcemente una nenia lenta, quasi struggente. Laìni si schiarisce la voce e molti la osservano incuriositi, tra il basso mormorio delle conversazioni accanto al fuoco.

“Miei cari,” esordisce. Il suo vago disagio, la sua normale riservatezza sembrano sparire non appena si rende conto di avere un, seppur esiguo, pubblico che la ascolta. La sua voce si fa rapidamente stentorea e carica di emozione. 

“Questo lungo viaggio nell’oscurità ci sta provando tutti. Cupezza e pericoli spesso ci assalgono; l’incertezza è nostra compagna, eppure…eppure proseguiamo. Abbiamo affrontato molti mali in questo tragitto, e molti ne affronteremo. Eppure siamo sopravvissuti…o siamo tornati, e camminiamo ancora in Gea e su Andor. Ma prima di proseguire oltre…c’è una cosa che sento di dover fare. Qualcosa che non posso tacere.

Noi stiamo proseguendo, ma molti li abbiamo perduti. Abbiamo subito gravi lutti a Base Lande, poco tempo fa. Li abbiamo visti morire, sono…sono morti tra le nostre braccia. Quella sofferenza ci accomuna. Ci unisce tutti. E prima di proseguire oltre…voglio ricordare coloro che sono tornati a Gea. Con voi, per voi.” Sospira pesantemente. È chiaro che si tratta di un argomento che tocca corde profonde nel suo cuore.

Il suono del flauto cresce leggermente in volume in quella breve pausa, pur mantenendosi malinconico, dolente. Poi, la Solitor inizia a declamare, con tono modulato ma forte, vibrante ad un ritmo interiore:

“Verso Base Lande abbiamo viaggiato,

frementi, d’angoscia ricolmi.

Vedevamo una speranza, un terrore,

a guidarci per notti e per giorni.

Al di là degli Aeland, nemico spietato

i nostri cari teneva in ostaggio.

Null’altro potevamo, ricolmi d’orrore,

se non avventurarci nel folle viaggio.

Kobayashi è il suo nome, uditelo o genti:

Diffidate di lui, nel cuore ha serpenti.

Alla prigione giungemmo, cupi ed accorti

Maschere e guardie, gelo nel sangue.

Ferve la lotta, ma vano appare ogni valore: 

nell’ora più buia, la speranza langue.

Eppur non recedemmo: ribaltammo le sorti.

Le porte varcammo, nuova speranza.

Illusi di salvarli, fummo preda d’orrore

trovandoci poi in sì macabra danza.

Kobayashi, mente crudele di ingranaggi e metallo

Sadico, perverso, ci intrappolasti in quel ballo.

Non potevamo salvarli, condannati eran loro.

Ogni prigione, ogni cella od anfratto

morte crudele, inesorabile in sé celava

impossibile a impedirsi, tal’era il fatto.

Perché ciascuno perdesse un suo caro tesoro

costretto a vederlo morir tra le braccia.

In ogni modo, frementi, di salvarli si tentava

Lacrime bollenti solcavan la faccia.

Kobayashi, non fu vendetta la tua, fu pura infamia

Su innocenti infieristi, sfoggio di spietata insania.

Loro sono morti, adesso, a Gea in pace tornati.

Ma i loro nomi restano: saranno rimembrati.

Rua di Tane, forza del deserto.

Finn del Bosco Antrim, Siusan del Fiume Eithrig,

Eireen di Ladir, genti della selva ombrosa.

Syd Efe di Manara, maestro rispettato.

Junk della Grotta Katla, dalla cima maestosa.

Padri, madri, mogli, amici ed amati.

Loro sono morti, adesso, a Gea in pace tornati.

Ma noi continuiamo, varcando il buio inaspettato.

Volevi spezzarci, col dolore ci hai reso più forti.

E tu, Kobayashi della Cittadella, sarai presto fermato.

Questo, Capitano, lo dobbiamo ai nostri morti.”


Sugli ultimi versi, la voce della giovane si fa carica di turbamento, forza e commozione al tempo stesso. Poi d’un tratto si spezza sulle ultime parole, mentre le note tristi del flauto si spengono quietamente. La Solitor sospira e pare quasi ritrarsi su se stessa.

“Spero che questo non dispiaccia a nessuno. Ci sono cose che devono essere ricordate, affinché non si ripetano. Ci sono cose che devono essere cantate, affinché la gente le conosca. Kobayashi ha causato molti mali, a molti sia delle nostre genti che della sua…ma…ciò che è accaduto a Base Lande…la follia di quel sadismo…per me, quello è stato il momento in cui il Capitano ha varcato l’ultimo limite. L’ultima soglia. E non potevo tacere.” Socchiude per un attimo gli occhi, che perfino nei deboli riflessi del fuoco appaiono lucidi di un pianto trattenuto – forse di rabbia, forse di sofferenza. Poi, senza aggiungere altro, si siede di nuovo accanto al fuoco, contemplandone assorta le lingue di fiamma.

DISCLAIMER: i racconti dei personaggi rappresentano la propria idea, la propria opinione, le proprie esperienze. Non rappresentano le idee “canon” dell’ambientazione ufficiale.

Decimo giorno, secondo mese del ciclo 1347

Isao: Quindi?
Martti: Avremo rifornimenti. Abbiamo tempo. Ti aggiorno meglio dopo. Vai a dormire ora. Si vede che sei provato.
Erano passati cinque minuti buoni da quando la radio aveva smesso di emettere suoni. Cinque minuti che il solitor aveva evidentemente impiegato per scarabocchiare qualcosa sul foglio di carta che teneva in mano.
Isao: Ma…
Il solitor si allontanò prima che il natus finisse di parlare, senza prestargli ulteriore attenzione. Muovendosi rapidamente, giunse al punto dove era stato affisso il “proclama” di Aranja vari “giorni” prima. Staccò il chiodo che ancora si trovava lì e pose il foglio che aveva in mano, fissandolo alla bene e meglio prima di andarsene.

Ci sono novità da Shiratani. Su rifornimenti e informazioni.
Mikael, Nalah, Shoki, Siv: ho bisogno di parlare con voi per i rifornimenti.
Ikka, Jiulia, Kalevi, Séaghdha: ho bisogno di parlare con voi per le informazioni.

La questione è urgente.

Martti

Da un racconto di Hanley del Bosco Leith attorno al fuoco

Come sapete, alcune Maschere di Ferro non hanno rispetto di Gea. Essi la feriscono, la disprezzano,
sono sordi alla sua voce e per quanto ne sappiamo spargono corruzione in giro per Andor. E riguardo a questo tutti concordano che sia male. Ci sono diversi periferi, invece, che considerano Gea come una madre amorevole, il cui interesse sia quello di proteggerli in quanto suoi figli, e quando qualcosa va male essi ritengono che la risposta adeguata sia quella di implorare il suo aiuto, perchè lei li aiuterà per bontà e affetto nei loro confronti. Generalmente questi trascorrono le loro vite preoccupandosi unicamente delle loro vite e delle questioni che li toccano direttamente, tributando il loro rispetto per Gea solo a parole o con tributi simbolici. In realtà, secondo me, anche questo è un approccio sbagliato.
Gea non è una madre amorevole e non siamo suoi figli prediletti. Noi siamo solo ospiti di Gea, e lei si
comporta con noi in base al rispetto effettivo che dimostriamo con le nostre azioni. La storia dei
periferi sarà anche quasi completamente dimenticata a partire dalla Grande Esplosione, ma siamo certi che i nostri padri sono responsabili di grandi colpe nei confronti di Gea, e questa ha mostrato la sua rivalsa anche in maniera estremamente violenta, distruggendo comunità e gruppi di superstiti che abusavano di essa nel tentativo di sopravvivere. E Gea ha una memoria molto più solida di quella dei periferi, ed è conscia che se non educa i figli con il pugno di ferro questi ripeteranno le stesse mancanze dei padri. L’immagine più esatta che può descrivere il rapporto effettivo tra Gea ed i periferi è quello di un grosso bisonte e gli animali che vivono su di esso e tramite esso. Se i periferi cercano di prendere i frutti di Andor senza restituire nulla, indipendentemente dalle intenzioni dalle quali sono animati, essi non sono nulla di diverso da zecche e mosche, che predano il bisonte del suo sangue anche se l’unico motivo che li spinge è la propria sopravvivenza; Gea vede costoro come parassiti, e come tali li tratta (anche se in maniera più efficace di un bisonte che scaccia gli insetti con la sua coda). Se invece essi cercano di aiutare Gea a risolvere i problemi che essa affronta e mostra rispetto per essa, come gli uccelli che eliminano le zecche dalla pelle del bisonte, essi vengono tollerati, e possono proseguire le loro vite in pace. Gea non ama i periferi, li tollera esclusivamente come un ospite tollera gli ospitati; se essi si comportano bene, essa può talvolta ricompensare tale comportamento, ma questo non è un atto dovuto, quanto piuttosto un gesto che ella sa serve per educare un atteggiamento; chi trasgredisce o prende ciò per dovuto viene punito senza alcuna pietà.
Ricordate inoltre che la coscienza di Gea non è rivolta al singolo perifero come in una conversazione
tra due individui; è più come il bisonte sopra nominato, che si accorge della presenza di un insetto solo quando questo lo morde. Pertanto, il rapporto che un singolo ambiente mostra nei confronti dei periferi che risiedono al suo interno può variare molto, così come cambia per un insetto se esso percorre la cotenna del bisonte o le sue parti intime. Alcune zone possono avere poche risorse e quindi la sopravvivenza può apparire difficile al suo interno, ma è ben differente dalle zone che sono assolutamente ostili alla presenza dei periferi, in quanto i loro spiriti hanno ancora ben chiaro le colpe dei loro padri, o la vita al suo interno segue precetti che sono contrapposti a quella che molti chiamano esistenza civile. Vi parlerò ad esempio del luogo in cui ho vissuto per innumerevoli cicli, quello che i Nemu Ji conoscono come il Bosco Leith. In realtà, definirlo bosco è un termine non completamente idoneo. Esso infatti è più simile ad un acquitrino, la cui aria è intrisa di vapori maleodoranti che possono far rigettare un Natus abituato alla sua salubre pianura. Essa è abitata da creature che altrove è difficile individuare; le poche dotate di pelliccia sono estremamente piccole o veloci, o hanno appreso a spostarsi di ramo in ramo, senza mai scendere da terra. Il suolo, infatti, è dominio incontrastato di
insetti di varie dimensioni, alcune delle quali arrivano anche al ginocchio di un perifero, o di altre entità prive di una anatomia chiara e specifica, che estendono pseudopodi e tentacoli dalla propria superficie melmosa nel tentativo di brancare la loro preda e assimilarla all’interno del proprio corpo acido. Persino
le piante si sono adattate ad un stile di vita diverso rispetto che ad altre zone più tranquille: molte infatti hanno estroflessioni carnose e colorate, che invitano creature incaute su di esse per stritolarle nella loro morsa e nutrirsi da esse. Un perifero che dovesse passare la notte incautamente nel suolo del Bosco
Leith si ritroverebbe la mattina con miriade di larve che scavano nelle sue carni, cercando di uscire alla superficie dopo essersi nutriti delle sue carni. Nessun altro posto che io conosca incarna il concetto del forte che sopravvive soverchiando il debole quanto il Bosco Leith. E la creatura che incarna principalmente tale concetto è lo spirito tutelare del luogo, che assume l’aspetto di una lumaca gigante alta quattro metri, dalla bava corrosiva. Un ignorante a questo punto dichiarerebbe che tale luogo deve essere certamente corrotto, tanto è ostile; mai affermazione potrebbe essere più errata. Essa incarna semplicemente l’aspetto più primordiale di Gea, quella che una mente civilizzata non potrebbe mai concepire, senza rendersi conto che egli non è neanche capace di comprendere appieno Gea. Io stesso, per poter sopravvivere, ho dovuto abbandonare i precetti che mi erano stati inculcati dal mio popolo, e sono dovuto divenire più simile ad una delle creature “selvagge” che risiedono nel Bosco Leith. E questo mi ha permesso, pur essendo nulla più di un ospite tollerato al suo interno, di imparare molto da esso e dai suoi abitanti, diventando il Druida che sono oggi. E anche se ormai mi sono abituato nuovamente alla vita insieme agli altri periferi, non ho dimenticato le lezioni che sono state incise a forza nelle mie carni. Per questo sto raccontando a voi questo, perché anche voi cerchiate di apprendere questa lezione: voi siete solo ospiti di Gea, ospiti a malapena tollerati, e quindi devono essere le vostre azioni nei suoi confronti ed esclusivamente nei suoi confronti a determinare se la vostra esistenza ha diritto di continuare. Non importa se a seguito di questo molti periferi potrebbero morire o soffrire: raccogliere i frutti di Andor senza aver ottenuto il permesso di Gea è un attacco nei suoi confronti indipendentemente dalla situazione, e come tale verrà considerato da essa.

DISCLAIMER: i racconti dei personaggi rappresentano la propria idea, la propria opinione, le proprie esperienze. Non rappresentano le idee “canon” dell’ambientazione ufficiale.

Storie di uno Skald

“Storie e leggende raccolte nei miei viaggi”

Di quelli che conosco meno, ecco, questi sono i Furenter. Distano molti cicli di cammino dai miei amati monti, d’altronde però la ricerca per la competizione della Festa dell’Aela richiede sacrificio. Così, ho viaggiato di Locanda in Locanda per giungere fino a Lasheeta e da lì farmi accompagnare da un mercenario dei Punga fino alla tribù alleata degli Otago. Ho chiesto di poter vivere qualche tempo con loro. Per tutta risposta la loro Hapu mi ha sfidato a duello, iniziando a danzare freneticamente con tanto d’occhi e linguacce, emettendo suoni gutturali che mi hanno scosso fino al cuore. Intimorito e affascinato al tempo stesso, ho preso la mia lancia e ho accettato la sfida. Mi ha fatto sudare sette camicie quella furenter, si muoveva con la velocità di un leone di montagna, pericolosa come una vipera. È riuscita a disarmarmi, alla fine, e facendolo ha mostrato un sorriso ferino che mi ha preoccupato, poi ha alzato il mio braccio e ha guardato i suoi con un cenno di assenso.

Sì, potevo rimanere, nonostante la sconfitta me l’ero guadagnato.

Ma come fanno i furenter a vivere su quella polvere bruciante? Ti si infila dappertutto, riflette la luce del sole, ferisce gli occhi e la pelle. Mi hanno donato dei loro abiti, più adatti dei miei, mi hanno posto in una tenda in condivisione con alcuni loro guerrieri e mi hanno concesso di vivere la loro giornata. Gli Otago sono una tribù minore, più piccola rispetto alle maggiori, ma comunque i loro artigli sono affilati. Il simbolo della tribù è il Coyote, molti di loro ce lo hanno tatuato sul petto, sulle braccia, sui polpacci, addirittura sulla schiena. Mi hanno proposto di farmi un tatuaggio, che loro chiamano “TOHU”, e mi hanno indicato Mate Masie “Ciò che ascolto lo porto con me” dato che io ascolto le storie e le racconto. Ci sto seriamente pensando su, perché no?

Ecco la storia che mi hanno raccontato, e che non ho mai sentito.

Guerra per il controllo di un’oasi, grande, ricca di acqua e di vegetazione; i druida della tribù indicano che non c’è corruzione, l’oasi è viva e vibrante.
Anche un altro clan della tribù Arahuta però ha messo gli occhi sulla stessa oasi; è solo un clan, ma presto ne arriveranno altri. Gli Otago sono alleati con i Watanj, con cui si schierano di fronte alla pozza d’acqua cristallina, petto in fuori, pronti a morire per difendere il loro tesoro.

Uno strano ghigno è sul volto delle Hapu delle due tribù, i guerrieri hanno i volti pitturati di bianco e nero e giallo, per spiccare sulla loro pelle. Iniziano a danzare la Ka’hora, con le movenze della danza guerriera, mentre qualcuno nelle retrovie suona delle percussioni con le mani e con dei bacchetti di legno.

La sabbia si alza, il clan degli Arahuta in avanscoperta decide che non può più aspettare; il vento forte preannuncia una tempesta del deserto, probabilmente gli aiuti non arriveranno in tempo.

Rumore di lampi in lontananza, una donna furenter dagli abiti di colore giallo e blu si avvicina ad una Hapu, le dice qualcosa nell’orecchio. Quella annuisce e dà un ordine a tutti i combattenti. Gli Arahuta che sono ancora in avvicinamento sgranano gli occhi quando vedono che gli Otago e i Watanj si stanno allontanando dall’oasi, lasciando loro il sentiero libero verso di essa. Increduli, questi ultimi si avvicinano al premio per cui erano pronti a mondare il deserto di sangue, e in quel momento le Hapu avversarie alzano il volto al cielo, all’ennesimo tuono.

Comincia a piovere, un lampo colpisce le palme sulla riva, che prendono fuoco. Gli Arahuta sono troppo sorpresi per la pioggia, che non hanno mai visto, per il lampo, e l’incendio che non si rendono conto dei nemici alle loro spalle.

Verrà raccontato come un combattimento leggendario, con i Furenter delle due tribù minori che saltano tra un nemico e l’altro come il Coyote e la Volpe del deserto, con il sorriso di scherno sulle labbra, leccandosi con la lingua la pioggia sul volto, inneggiando a Ra e Marama.

Il sangue sulle scimi, i fabbri che con un braccio si difendono e con l’altro battono sulle protezioni dei combattenti, recuperano le armi cadute, mentre i prana curano chi è troppo ferito per continuare a battagliare.

Alla fine di quello che sembra un momento eterno, le nubi si diradano ed esce il sole cocente.

Succede qualcosa di incredibile, sulla sabbia pregna di sangue, spuntano una serie di fiori carnosi e coloratissimi che riempiono il terreno attorno all’oasi, mentre i corpi dei deceduti sprofondano dentro Koraka.

Si fa sera, all’oasi rinominata “Puawai”, che in dialetto furenter significa “fiore”.

La tribù del Coyote la tribù della Volpe festeggiano di fronte alle proprie tende, levando il volto alle stelle; i tuhinga hanno finito di preparare i feticci e tutti sono pronti a rilasciare i propri morti per il viaggio verso le stelle, Ao Rangi. Una morte onorevole che va festeggiata come si deve. Le ceneri vengono disperse nel vento notturno, mentre le danze riprendono attorno al fuoco, brindando con il Kauri, fino a che i corpi esausti ed ebbri non cadono a terra.

“…Credo che per ora sia tutto, vi consiglio di riposare. Domani mattina dovremo partire, anche con la nebbia e senza il sole, non abbiamo alternative. Direzione, Base Jethro.”

Aranja piega il foglio a metà, mentre il parlottare monta intorno a lei. Ci sono tante cose da discutere e molta tensione da allentare. Dopo aver verificato che nessuno abbia domande da farle, si allontana verso uno dei fuochi di guardia. Non è abituata a risparmiarsi, ma ora ha veramente bisogno di un momento per sé, se non altro per rifare le fasciature delle sue ferite con bende pulite.

Sa che una figura la sta seguendo, pensa anche di sapere di chi si tratta, ma continua per la sua strada, raggiunge il bivacco e si siede su di un tronco cominciando a rimuovere la fasciatura al fianco.

“Serve una mano con quelle?” dice Nalah, coprendo gli ultimi metri.

“No, non c’è bisogno. Dimmi, cosa posso fare per te?”

Nalah si siede sullo stesso tronco, prende le bende pulite, pronta a passarle ad Aranja una alla volta.

“Ho bisogno di sapere cos’è successo esattamente alla Base Lande.”

Abbassano il tono, abbassano gli occhi.

Bisognerebbe essere davvero molto vicini per sentire di cosa stanno parlando, ma indovinare non è difficile.

Molti sanno che Rua di Tane era prigioniero là. Molti hanno visto il combattimento tra lui e Lomu, e l’hanno visto morire. Nalah no, non era lì a veder morire suo padre. Non era stato semplice convincerla a restare a fare la guardia ai carri, ma qualcuno doveva restare. Inoltre chi può dire come avrebbe reagito se fosse stata lì? Cosa avrebbe potuto fare di diverso?

Il lamento funebre che si alza poco dopo dal bivacco, quello sì, che si sente da lontano. È un canto antico, pieno di pena e di dolore. Serpeggia sotto la pelle se ti fermi ad ascoltarlo. Nato dal nulla, dal silenzio della notte, si spezza ed inciampa per morire in un singhiozzo, per spegnersi in un lamento amaro che non ha più nulla del canto. Un’altra voce segue la prima, riprendendo il canto, più piano e in qualche modo più serenamente.

Nalah attraversa di nuovo il campo per tornare al suo carro, ha lo sguardo vuoto e sembra assente.

Quando ricompare il mattino dopo per levare il campo sembra un fantasma, il viso stralunato e gli occhi opachi, come acqua trobida che non riflette. A chi la chiama o cerca di parlarle non risponde. Ha tagliato a zero i capelli e probabilmente l’ha fatto con la spada a giudicare da quanto sono irregolari.

“No che non sta bene,” dice Aranja a chi le chiede.

E così la lasciano stare.

DISCLAIMER: i racconti dei personaggi rappresentano la propria idea, la propria opinione, le proprie esperienze. Non rappresentano le idee “canon” dell’ambientazione ufficiale.

Un furenter combatte non solo in battaglia

R: “Non è mai esistito che qualcuno si faccia incidere un Tohu durante il rituale luminoso! è follia pura Hapu Rama!”

RM: “Lo so, eppure è la volontà di Pita; se si rivelerà sciocca, pagherà la sua arroganza con la vita. Altrimenti, sarà ben visto a Ra e Marama ed a tutti gli antenati. Adesso, vai!”

Il vecchio annuì alla donna con il volto segnato dalle rughe che si stagliava di fronte a lui, prese i suoi arnesi e si diresse verso il palo al di fuori del circolo di tende dove stava legato il ragazzo. Il giovane stava sudando copiosamente, sotto il sole cocente.
Il vecchio Rawi Mani di Piuma aprì una pergamena di canapa di fronte al ragazzo, mostrandogli dei disegni. Passò sopra ognuno il dito grinzoso; quando strofinò AYA, Pita esalò una sola parola:
Lui“.

Rawi gli mise un ciocco di legno in mezzo ai denti, non disse una parola e cominciò ad incidere la pelle del giovane sul pettorale sinistro, asciugando solamente sangue e sudore che scendevano copiosi.

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Per vedere tutte le specifiche sui Tohu, segui il link Tohu

Qualcuno canta una canzone, poco prima del cambio della guardia…

Polvere di stelle brilla nella notte argentea
Così lontana, dall’altra parte…
Verrai a parlare con me questa notte?
Ella non poteva raggiungerlo

Fu l’ultima ad averlo visto vivo
Fu portato via dall’ombra della luna
Egli passò preoccupato, avvertendola
Fu portato via dall’ombra della luna

Perso in un indovinello quel sabato sera
Lontana, dall’altra parte
Fu catturato nel mezzo di una lotta disperata
Ella non poteva raggiungerlo

Io resto, imploro
Ci vedremo di nuovo un giorno?
Resto, t’imploro
Ci vedremo nel cielo lontano?

Gli alberi che sussurrano nella sera
Fu portato via dall’ombra della luna
Cantano una canzone di dolore e sofferenza
Fu portato via dall’ombra della luna

Tutto ciò che vide fu la sagoma di una pistola
Lontana, dall’altra parte
Fu colpito sei volte da un uomo in fuga
Ella non poteva raggiungerlo

Io resto, imploro
Ci vedremo di nuovo un giorno?
Resto, t’imploro
Ci vedremo nel cielo lontano?

Erano le quattro del mattino
Fu portato via dall’ombra della luna
Ho scorto la tua sagoma formarsi
Fu portato via dall’ombra della luna

Le stelle brillano nella notte argentea
Così lontana, dall’altra parte…
Verrai a parlare con me questa notte?
Ella non poteva raggiungerlo

Rimango, e spero
Che ci vedremo nel cielo lontano
Rimango, e credo
Ci vediamo nel cielo un giorno
Ci vediamo nel cielo un giorno

Una stella brillava nella notte argentea
La notte era pesante e l’aria era viva
Fu portato via dall’ombra della luna
Fu portato via dall’ombra della luna

Dagli appunti di Basibos, Kardak, 20mo Giorno del decimo Mese, ciclo 1345

ore ?
Finalmente ci siamo fermati. Mi hanno fatto scendere da quello che sembra un carro. I ganghlia per fortuna mi aiutano a sentire, dato che i miei occhi sono coperti da una benda. MI hanno messo in una stanza, e oltre a me almeno due dozzine di altri Periferi, anzi no. Estranei. Siamo bloccati qui con questa Maschera che non ci permette di uscire. Ne ho contati almeno 4, ma chissà se nei piani superiori ce ne sono altri.

ore ? + 0.5 circa 
Le Maschere non sono proprio in salute, alcuni cadono a terra per pochi secondi come colpiti da spasmi di dolore, per poi rialzarsi. Nonostante questo, picchiano abbastanza forte con quei loro martelli. Hanno già colpito fino all’incoscienza una Furenter, quindi per ora meglio non indispettirli troppo. Dicono anche che ogni tentativo di fuga verrà punito con l’eliminazione di 10 di noi. Direi abbiamo 1 o 2 possibilità, chissà dove è il mio arpione….

ore ?+1 circa
Questa stanza è molto strana. Continua a far saltare fuori HAIDO, mentre a sinistra una porta si apre su uno scenario alquanto sinistro: sangue, catene e ganci. Non sono un esperto, ma una sala delle torture sono quasi sicuro di riconoscerla quando la vedo. Ne sono molto contento, ma come mai non la stanno usando con noi?
Ci sono altri EXIT con me, uno sembra intenzionato ad uscire fuori e vedere se riesce a fuggire. Io ho con me troppi bagagli e i miei studi, non posso certo seguirlo. Ma chi sono io per fermarlo. Nel caso lo scoprano per fortuna ho ancora tutte le mie protezioni con me sotto il mio poncho in Vix….

ore ?+2 circa 
Ancora non si sono accorti della fuga del nostro compagno. Forse. Perché qui qualcosa si sta muovendo. Le Maschere sono tutte agitate, continuano ad entrare e ad uscire da questa stanza di corsa, magari potessi capire qualcosa dalla loro espressione…. Comunque alcuni sono decisamente strani, quello che ci faceva le domande continuava a ripeterla con quella sua voce inespressiva fino a che non rispondevamo. 

Inoltre, queste maschere si vede non hanno proprio una cultura della scrittura, mi hanno fatto scrivere su dell’ottima carta con del semplice carboncino. Sono stato anche severamente ammonito quando stavo preparando il pennino e l’inchiostro. Incivili…. Comunque, le frasi erano molto strane, parlavano di aver ucciso una famiglia e un bambino, e di un Ala di Ferro che passava vicino una città Ne Mu Ji a Nord.

Poco prima del Tramonto (KARDAK)
Non sono riuscito a scrivere prima, ma la situazione è migliorata. Dalla stanza degli interrogatori qualuno ha disarmato una guardia e lì abbiamo iniziato la nostra fuga. A si, le maschere di ferro prendono fuoco e saltano in aria, comprese le loro armi. Sono sicuro che la tua faccia leggendo queste righe è uguale alla mia quando l’ho visto, lo so…

Comunque ci siamo addentrati in questi corridoi, e siamo stati infine raggiunti da un altro gruppo di Estranei. E io che pensavo ne eravamo pochi. Pare che questo gruppo stia cercando di unire tutti gli Estranei per capire cosa sta succedendo.

Per fartela breve abbiamo ammaccato un bel po’ di facce metalliche. Alla fine, hanno smesso di arrivare, non ho capito se perché ne avevano prese abbastanza o se qualcuno li sta ingannando con quella specie di comunicatore che abbiamo trovato. A si giusto, abbiamo trovato una scatola di metallo in cui ci parli dentro e poi ti risponde. Ma non la scatola, un’altra persone. E già. E non finisce qui.

Ho scoperto un nuovo Popolo Perifero! Ma solo un elemento. Sono interamente fatti di un materiale simile al ferro, hanno penetranti occhi rossi e pare siano divisibili tra corpo e testa. Non sono riuscito a capire se è una specie di legame simbiotico o se ad esempio è tipo i Ne Mu Ji, con un corpo e una testa che si uniscono per la vita. Comunque questo qui si chiama Androide e pare si occupasse dei giardini e delle fontane. Ci ha anche detto che l’acqua è contaminata, quindi non si può bere.

La struttura dove ci troviamo pare fosse una specie di campo medico o di ricerca per i più svariati scopi. Abbiamo trovato storie simili a quella del villaggio andato bruciato per colpa di un manipolatore, e pare che molti siano morti. Inoltre, pare ci sia un piano inferiore inaccessibile in cui sono prigionieri altri “sperimentati”. Ogni tanto ne esce fuori uno, e i Prana vedono di rimetterlo in sesto. 

Pare che aspetteremo domani per vedere se andarcene, quando il gruppo che ci ha aiutato tornerà. 


Notte (KARDAK)
Come se non bastasse che è notte, siamo in una zona corrotta. L’acqua sta andando sempre peggio a quanto dice Androide, mentre a quanto pare le Watashi girano anche di notte, e due sorelle furenter del gruppo di salvataggio sono state corrotte. Una è morta, mentre un’altra è diventata un estraneo. Un Druida pare abbia capito che il simbolo ESTRANEO quindi appaia per contrastare la corruzione in chissà quali casi.

Pare che GEA voglia che noi collaboriamo. Peccato che GEA non abbia tenuto conto che io so a malapena i nomi di questi Periferi…

21 giorno del 10 mese, ciclo 1345? 

Pranzo (KARDAK)
Avevo già scritto degli appunti, ma li ho persi tutti. E non perché sono distratto, ma perché mi sono appena svegliato da un sogno. Allora, ricominciamo. Ieri sera abbiamo trovato la leva di cui parlava Androide, l’abbiamo tirata ma forse era troppo tardi o non so, fatto sta che le impurità sono diventate troppe e pare che lo spirito della fonte si sia parecchio arrabbiato. Infatti, ci ha mandato degli spiriti a palesarci quanto non era contento. E fanno male questi spiriti, maledizione. Quindi diciamo abbiamo capito quanto stava male, e i Druida hanno fatto le loro cose per calmarlo. Poi abbiamo fatto un gigantesco cerchio dell’amicizia per una specie di rito, ma alla fine ci siamo tutti addormentati.

Al risveglio avevamo tutti una strana lettera in legno addosso e gli spiriti che prima ci volevano male ora ci volevano bene, e ci dicevano parole a caso. Abbiamo anche visto il Capitano delle maschere senza maschera (sembra un Solitor senza segni), e pare che il bambino di cui cerca l’assassino sia suo nipote direi. E la famiglia morta era quella di suo figlio pare. Comunque, non so se niente di questo sia vero, perché un certo estraneo di nome Dottor K ci ha detto che era tutto un sogno. Infatti, mi sono dovuto lanciare in uno specchio per svegliarmi. Si lo so, fa strano a me scriverlo figurati a te leggerlo.

Comunque, ora che siamo svegli pare dobbiamo sconfiggere definitivamente la Watashi, per purificare questo posto.

Ho anche conosciuto uno SKALD Solitor molto anziano, poverino è stato prigioniero così a lungo che non ricorda più storie e che ha perso tutti i suoi appunti. Gli ho dato uno dei miei pochi rilegati e un pennello e dell’inchiostro, ma in fondo lui ne ha bisogno più di me. Pare anche lui non voglia seguire questa “resistenza”, come me. Ha detto che se voglio verrà con me per ringraziarmi. Vedrò di accompagnarlo fino ad un luogo sicuro, ma non potrò portarlo con me per sempre. E’ molto anziano e stanco e vorrei evitare di mettere a rischio altre vite… spero di imparare molte storie da lui.

Tramonto
Ci stiamo separando. Abbiamo purificato la zona e sconfitto la Watashi. Le mie protezioni e il mio braccio se lo ricorderanno per un po’ quanto male faceva. Devo ricordarmi di ringraziare i Prana.

 E adesso molti stanno seguendo questo gruppo di Estranei impegnati a capire quello che sta succedendo. I miei migliori auguri. Io devo continuare la mia ricerca, poco importa che simboli porto addosso….

Burhanettin il Prolisso. Maktaba – Ciclo 1330

Guida Andoriana per Viaggiatori

“Salve lettore che hai trovato questo testo! Che tu sia un giovane Natus a cui piace osservare il cielo di notte da una finestra al sicuro dentro la tua casa, un Manipolatore che vuole trovare un senso all’energia che riesce a invocare prima di finire male per averla usata una volta di troppo, o un folle incosciente che ha deciso di porre termine precocemente alla propria vita viaggiando di notte, NIENTE PANICO, questa è la guida che fa per te!

Parliamo innanzitutto delle costellazioni che si possono osservare nel cielo sopra di noi, spero almeno questo tu lo conosca già no? Ma facciamo un veloce ripasso, per i meno informati. Innanzitutto ci sono le due coppie di costellazioni collegate, Il Fiume che si incrocia con Il Sentiero e Le Fauci che insieme alla Coda formano un imponente e terribile creatura.

Ci sono poi Il Guerriero, che protegge i cieli, e l’Ambasciatrice, figura leggendaria di cui non tutti credono dell’esistenza. Proseguiamo con il Crepuscolo, quelle due coppe non ti sembrano così bene in ordine come riposte dopo la cena? E infine le Lacrime, cosa mai avrà fatto piangere quella dolce fanciulla?

Bene, ora che ne conosci i nomi e le forme, parliamo di come si dispongono nel cielo. Al centro della volta celeste, durante tutta la nottata potrai notare la coppia de Il Fiume e de Il Sentiero, nel cui punto d’incrocio risplende sempre forte e luminosissima Il Fulcro, la stella più luminosa del firmamento che non fa parte di alcuna costellazione; se cammini sempre verso di lei prima o poi arriverai a Nord sui monti Aeland, ma chi lo farebbe mai, cioè se la vedi il sole è ormai calato, non arriveresti mai così distante vivo viaggiando di notte.

Sopra di te invece, a seconda dell’ora, potrai osservare una diversa costellazione. In un giorno medio di primavera, poco dopo il tramonto, potrai osservare spuntare le due coppe de Il Crepuscolo. Con l’avanzare dell’oscurità lasceranno il posto a L’ambasciatrice, poi verso le ultime ore, prima dell’arrivo della luce, passerai ad avere La Coda sopra di te e poco prima dell’alba noterai arrivare Le Fauci che concludono la notte prima di lasciare spazio al sole mattutino.

Questo cambia in un giorno d’inverno, in cui le giornate sono più corte e il buio più lungo. Al calar del sole si inizierà con Il Guerriero e si concluderà osservando l’alba mentre arrivano Le Lacrime nel cielo. L’opposto accade in estate dove per prima osserverai L’Ambasciatrice e finirà la notte nel passaggio tra La Coda e Le Fauci.

Ultimo dettaglio, non meno importante degli altri, è l’altezza delle stelle sull’orizzonte, perché si caro amico, che tu sia sugli Aeland o nella parti più basse di Koraka, le stelle non sono proprio proprio nella stessa posizione nel cielo! Stupefacente vero? Nella parti più a sud di Koraka potresti notare che Il Fulcro sembra essere molto più basso e vicino all’orizzonte, mentre sui monti lo vedrai ben alto nel cielo. Similmente accade per tutte le altre costellazioni ovviamente. Ecco, immagina di tracciare una linea sulla mappa (perché hai una mappa dei territori se vuoi viaggiare no, non vorrai mica farlo senza?) tra il centro di Tìr Nan e la nostra cara Maktaba, se ti trovi su quella fascia di territorio le costellazioni saranno esattamente sopra la tua testa, con Il Fulcro splendente davanti a te, incredibile vero?

Bene, se mi hai seguito fin qui ora certamente avrai capito come poter usare tutte queste informazioni per orientarti no? Dai ti faccio un piccolo esempio per farti capire. Allora se sei in Shenzhou e sopra di te c’è L’Ambasciatrice sai che per andare verso Tìr Nan, che si trova ad ovest, dovrai andare verso Il Crepuscolo, mentre per andare verso Koraka o Yagmur, a est, dovrai andare verso la coda. Cioè andare nel senso di aspettare il sorgere del sole in un posto molto molto sicuro dopo esserti segnato la direzione in cui andare quando sarà alto nel cielo, ovviamente.

Direi che ci sono tutte le basi di cui tu possa aver bisogno sulle nostre care stelle, per cui buona fortuna!”

L’exit alzo la penna dal foglio dopo aver finito di scrivere e si grattò un ganghlia pensieroso: “Ma, ora che ci penso, qualcuno leggerà mai queste cose?”